A CLAUDIO, versi per Claudio Meldolesi (2013)


Jamais avoir peur diceva Charles de Foucauld
Un mistico cristiano, non ti sarebbe dispiaciuto
Come motto, credo, te comunista, te anarchico
Che macinavi pensieri dentro un macinino
Ascetico, appartato, la tua cella di libri somigliava
Alla stanza di Hanta di Hrabal...
Ma poi dormivi in una camera sponsale
Vegliata da una bandiera di lotta
Sopra la testa, quasi a guidare i sogni
Forse per questo uscivi la mattina
Disposto ancora a uno stupore, solubile
A un'esperienza di communitas
Ti ci davi del tutto, come a dire: non lo sappiamo
Se non sia proprio qui, nascosto, l'annuncio di un futuro
Proprio come un mistico vero: ascetico in privato
Politico fino a dissiparsi, là nello spazio pubblico
E poi però di nuovo aristocratico, goloso
Per rimanere umano, cioè imprendibile.

Manca, caro Claudio, a questo mondo
Un po' di più di questa verità: calda, arbitraria
Che ha dietro sì un edificio fattuale però anche
Un'ombra controfattuale, visionaria
Che poi è l'intelligenza dei bambini
Oppure, appunto, dei contemplativi.
Come amavi gli esordi!
Di tutti, di ogni cosa: gli esordi
Là dove zampilla la natura, non ancora corrotta
Ridotta: ad abitudine, a stile, a strategia,
Come un antico taoista, ne eri vorace, entusiasta.
E però avevi una maieutica discreta, brusca persino
Filtrata da un'educazione politica, e familiare
Forse anche da un carattere
Lontano miglia dall'autobiografismo
Dal piagnisteo, chino sul generale
L'universale, il comune, il necessario.
E' stato forse doloroso, nel profondo,
Questo pegno, questa tua fedeltà
Però ha pulito, ha levigato lo stile
E resa definitiva la pazienza
Venato di stoà quel tuo taoismo.

Dentro gli umani si compie una battaglia
Bella, che dura a lungo, dura sempre
Ti appassionava questa lotta
Tra libertà e doveri, tra coscienza
E grida di un corpo naturale, di una mente
Finalmente slegata, che ha smesso di mentire.
Un'utopia concreta, che costruivi di continuo
Nessun palco, nessuna occasione
Sembrava indegna anche solo di un accenno
Un consiglio, uno sprone
In questa direzione:
Decostruttore cocciuto anche tu
Come i grandi novecenteschi, eppure
C'erano sempre dentro le tue parole
Le basi di una possibile pars construens
Non una serra per le roselline: un giardino!
Spronavi l'istituzione, già impigrita
Qualche cosa di ancora mai pensato
Qualche cosa di nuovo!
Esordire anche noi, ogni volta, con chi esordisce
Esordire per sempre: ecco la vita!
Senza vampirizzare, stando in piedi
Vegliando una crescita
Lasciando essere avrebbe detto Eckhart.
Come Basaglia, anche tu andavi al concreto
Chiedevi all'istituzione che servisse.
Per quanta intelligenza possedessi, ed era tanta
Vegliavi che non schiacciasse l'esperienza
Il tuo pensiero nutriva l'azione
In un modo maschile: la generava, non la partoriva
La vegliava, l'accompagnava per un po'.

E' stato tutto una promessa di qualcosa:
La tua vita dichiaratamente non eterna
Fisicamente faticosa, un dare ed un ricevere
Gratuiti, rubati a un tempo che corre.
E' stata una lezione
Un'idea scabra dello stare assieme.
Quello che mi è mancato, non è da chiedere a te.
Lo davi per scontato, il fatto d'essere parziale, limitato
Come ognuna, ognuno, come ogni esperienza.
Solo così si apre lo spazio a qualcosa, sembravi dire,
Tra tutti noi, qualcosa di comune.
Già solo il fatto di proporlo a noi
Alla microsocietà dei teatranti
Era qualcosa di eversivo, utopico:
Controfattuale, appunto.
E' stata un'opera di poesia concreta
Che hai scritto a lato dei tuoi libri appuntiti.

E' che ogni artista crede solo a sé, lo sai.
Tu lo sfidavi invece a pensare che serve
La somma sghemba di quel che si fa tutti, tutte.
Quest'organo politico in noi, questo cuore
E' quasi atrofizzato
Soffre di un rimpicciolimento involutivo.
Speriamo in tempi più turgidi
Dove quest'organo, per necessità,
Riprenda il suo funzionamento, sia irrorato.
Sempre di più la tua lezione sarà attuale.
E tu maestro di eterni esordienti.

Bologna, 18 marzo 2013

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